venerdì 4 maggio 2018

Zero (2005)

Una stanza, una videocamera, la solitudine, un cavalletto, del vino, un foglio di carta, una sigaretta, una penna, un amico poliglotta, Perugia, il 2005 e il quattroterzi. Tutto questo moltiplicato per zero fa comunque zero.



La stanza è quella della casa dello studente, dove ho vissuto buona parte della mia vita universitaria. La videocamera su cavalletto è poggiata al posto del letto, che per l’occasione avevo trascinato verso la porta. Il punto di vista che ne è uscito fuori quindi è lo stesso che avevo io ogni giorno e ogni sera che mi sedevo sul letto e, ascoltando la musica, rimanevo a fissare un po' a vuoto davanti a me.
Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, quella finestra, quel televisore messo storto che non guardavo quasi mai, quel lavandino sono entrati nell’immaginario dei miei pensieri, una sorta di costante che, qualsiasi cosa accadesse, rimaneva sempre fissa.

Quando poi ho iniziato a giocare con le immagini e a girare i primi cortometraggi ho capito che quella immagine non la potevo lasciare fuori. Ed è diventato il teatro di questo breve flusso di coscienza in bianco e nero e verde e viola e blu e giallo.
E bianco.
E nero.
E zero.


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